Cap.2: Patrizia

Quando si trattò di immaginare una donna,l’uomo la pensò così:bruna,come i boschi di montagna quando il sole si nasconde dietro gli alberi,alta come una cima innevata da scalare a picco, verde come gli occhi della luna al plenilunio, sinuosa come l’onda quando schiuma sulla riva, tenace come il morso di uno stallone indomito, vezzosa come il pizzo della sottoveste di seta, allegra come la musica, saggia come una madre, mutevole come la donna. Lei forse era anche qualcosa di più. Ad esempio bizzarra come la tavolozza di un artista versatile quando abbozza una tela e i colori, anzichè disporsi in bell’ordine, si accostano in una sequenza disordinata che tutto diresti, fuorchè strumenti di un’immagine creativa. L’originalità era un altro suo pregio, quella capacità unica di diversificarsi, vuoi per un gesto, un abito, un sorriso o la scelta di un accessorio prezioso, mai uguale a nessun altro, sempre unico, giusto, suo. Eppure non sentivi d’invidiarla per nessuna di queste sue virtù, tanto esse le erano congeniali e risultava impossibile sottrarle anche un solo suo attributo perchè, nel cambio, non sarebbe stato più lo stesso, come se perdesse di lucentezza o di splendore. Possedeva infatti l’ineguagliabile capacità di diversificarsi in un ambiente e ad esso, insieme, di adattarsi:nessuno sforzo le richiedeva un qualsiasi tipo di rapporto con gli altri, dal più banale al più complesso. Riusciva a gestire tutto con sobria signorilità, dotata di un carisma particolare, quasi un alone che la circondava tutt’attorno,creandole spazio e determinandone l’incidenza sul mondo. Sempre così l’aveva vista e anzi, con la maturità, certe doti che da ragazzina facevano sorridere, perchè esagerate per loro natura in un’ indole giovanile, ora acquisivano un peso ed una rilevanza imbarazzanti, non appena si era costretti a constatarle:troppo perfette, quasi inspiegabili. Nè si poteva spiegare la grazia naturale nell’incedere, la bellezza profonda, un destino benevolo che la voleva felice.Eppure, sebbene non conoscesse l’infelicità nelle sue avvilenti sfaccettature, ne comprendeva amorevolmente i segni inflitti al mondo e, per ognuno, aveva una parola, un consiglio, un suggerimento che aiutassero a meglio sostenerne il peso. Chissà com’è, ma pareva che anche il Fato avesse voluto preservarla intatta:un diamante che non si scalfisce e sempre rilucente, anche nel fondo di una grotta profonda.Il buio e la paura non esistevano:l’universo era sempre luce, festa, colore. Da sempre ogni cosa le fu concessa naturalmente, perchè a lei tutto si doveva, come si è detto, e il mondo si allargava per farla passare. Qui o altrove non c’era differenza:ogni spazio era suo, ogni cuore, e con quest’ultimo le piaceva giocare, un pò da monella, dettando nuove regole a sua invenzione, sovvertendone i ruoli, ingenerando confusione. Lo sapeva fare talmente bene il gioco della freccia al cuore, che finiva sempre o quasi per ferire il bersaglio scelto. 8 Ma era solo per giocare, perchè amava, dicevo, il tiro di precisione, effettuato con qualsiasi arma:arco, fucile oppure fionda.Non potremmo dirlo un difetto, tanto anche qui era precisa e opportuna, se vogliamo si potrebbe definirlo solo un eccesso.Di perfezione, per l’appunto. Non la pensava così chi era stato colpito, perchè la ferita era profonda e sanguinava a lungo;a volte aveva provocato anche un’infezione , un’incapacità a rimarginarsi in poco tempo.Erano infatti, quelli, postumi lenti che necessitavano di cure amorevoli, di comprensione, ma lei, finito il gioco, ripuliva le armi e subito si distraeva, attratta da altri ruoli o da altri bersagli. Nessuno le aveva mai detto di altri divertimenti, forme di svago meno pericolose o forse non si accorgeva che era sempre e solo lei a vincere, che si trattava di una gara impari. Eppure sapeva di leggi, censure e divieti: sapessi come s’intendeva di codici e codicilli, di diritto pubblico e privato, di regole di convivenza civile! Ma a questo era arrivata più tardi, solo dopo che il gioco le aveva preso la mano e si era registrata qualche vittima: meglio premunirsi, dunque. Non oltrepassare il confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Del resto non poteva pensare di giocare all’infinito:sarebbe venuto un giorno in cui quel tempo doveva dirsi passato e allora avrebbe dovuto provvedere a fare altre cose per trascorrere le giornate.Così scelse l’ultimo bersaglio. Era un cuore giovane, più del suo, vigoroso, armato contro tutti gli attacchi, ben difeso e protetto da molte corazze.Le piaceva. Come del resto succedeva per tutti i traguardi complicati, quando doveva mostrare intuito, fermezza e precisione, studiò quel bersaglio da ogni angolatura, per stabilire bene il momento, la mira e le armi da usare. Infine colpì.E fu un altro centro azzeccato.Poteva dirsi davvero soddisfatta.E lo fu. Tuttavia dovette rinunciare al suo gioco preferito e ciò richiese un’attenta revisione mentale, quasi una registrazione di dati, in uscita e in entrata, un bilancio definitivo della sua vita. Com’era poco adatta al quotidiano, alla prassi convenzionale delle regole, ai divieti, alle censure!Ma con il tempo sapeva che ce l’avrebbe fatta, pur se questo significava mutare abitudini e abbandonare speranze. Si adattò alla nuova condizione di moglie per gradi, senza sforzi eccessivi, riuscendo a ritagliarsi spazi nelle costrizioni, che quasi le pareva non fossero tali, poi via via, assunse anche i tratti apparenti della quotidianità. Nel frattempo era insorto un problema nuovo di cui lei, per prima, non si accorgeva, giacchè riguardava non lei ma il ritratto di lei che si era costruito nel mondo. La quotidianità, così com’era, non le si adattava. Come dipingere il ritratto di Monna Lisa su di un fondale di cucina con fornelli, ultramoderni d’accordo, superefficienti, ma pur sempre fornelli. Quanto quel dipinto possiede di armonia e sobrietà tra gli elementi, suggestione e sintonia di colori, tanto il nuovo adattamento stride col soggetto rappresentato, sin quasi a togliergli fascino e autorità. Il bruno di lei ora ricordava l’oscurità profonda e cupa di una notte senza luna, il verde era opaco e stinto come l’erba in autunno, la tenacia ottusità, il vezzo vizio, l’allegria tristezza, la saggezza pedanteria. 9 Come se d’improvviso non fosse più la stessa, altro l’artista che l’aveva ritratta, diverso lo stile. Si sa che dipendeva dall’occhio che la guardava, dal gusto e dalle intenzioni del visitatore, ma quel capolavoro non produceva più lo stesso effetto, risultava troppo asettico e anacronistica la sua collocazione nel tempo. Non per questo si smise di ammirarlo.Del resto era stato universalmente riconosciuto ineccepibile, il riflesso di una sensibilità senza pari, ma le divergenze d’opinioni ora cominciavano a farsi più insistenti, più mordace la critica. Così si finì per accreditare ad altre opere la palma di unicità e pregio artistico, opere che meno risentivano del tempo e del mutamento di stile, più consone a loro stesse e allo scopo per cui erano state create:il mero trionfo dell’estetica, lungi dal concetto filosofico originario. Se quella donna dunque, non si fosse calata nella realtà sino ad aderirvi, la sua bellezza sarebbe rimasta incorrotta, ma si sa, capita a tutti di sentirsi soli, di necessitare dell’appiglio di una mano tesa, di farsi certi scrupoli di coscienza. Quello che lei riteneva fosse un suo difetto, la superficialità nel valutare le conseguenze morali per il prossimo, finì con il rappresentare l’unico e fondamentale interesse nei suoi confronti (le altre doti venivano dopo). Scomparso quello, gli estimatori si fecero più sparuti, il pubblico attratto da altri prodotti artistici, gli uomini da un’immagine di donna che non era più la sua.

Cap. 1: Paola

Come la nebbia grigia e opaca che,da queste parti,accompagna l’inverno,di rado qualche schiarita e poche ,lunatiche piogge,solo così le piaceva vivere: infagottate le emozioni sotto una coperta spessa,neanche un dito fuori e le energie da impiegare con calma,vagliando i pro e i contro,senza decisioni affrettate,poco rumore e nessun accidente. Non che il grigio fosse il colore che preferiva,anzi. Nata d’aprile,nel tempo in cui le stagioni avevano un loro fisso copione,ad una spettava la pioggia,ad un’altra il sereno,ad un’altra ancora l’afa, oppure il gelo,Lei soleva optare per abiti rosa, quel rosa carico dei rossetti da labbra o di certe vernici post-moderne e,così abbigliata,un po’ di trucco sugli occhi e un paio di orecchini,ingannava se stessa e le sue pacate ambizioni. Del resto aveva scoperto troppo tardi il fascino dei colori.Certi effetti d’arancio sulla pressione arteriosa o il giallo canarino per i cali d’umore,poco verde per non ingannarsi in un eccesso di speranza,un tocco di viola, data la superstizione ché,se un gatto nero le oltrepassava la strada,di notte era quasi certo che non dormiva. “Chissà cosa potrebbe succedere? Meglio se faccio qualche scongiuro!” Da ragazza invece guai ai colori! Vietato apparire,non si sa mai! “Non mi piaccio,non piaccio agli altri,non mi amano e quindi mi nascondo.” Ancora le ricordano quanto odiasse,d’estate,recarsi sulla spiaggia,tanto più in un bagno affollato di gente: troppi occhi,molti commenti. Così se ne stava da sola sotto l’ombrellone, nelle ore più calde,quando gli altri erano a pranzo e lei lo saltava per la fissa di dimagrire,con addosso per di più un cardigan di lana marrone. “In costume? Non ci penso neanche!” In questo modo un poco di colore in faccia lo guadagnava; sudando,qualche grammo lo smaltiva e non ci si doveva sforzare neppure di stare in compagnia,trovare gli argomenti,partecipare ai giochi o agli scherzi collettivi. Non si sentiva giovane come gli altri. O meglio si poneva troppi divieti,tremava al solo pensiero di doverli infrangere; non aveva mai detto una bugia. ” Figurati se posso andare in moto sino al Lido senza il permesso!” I rimproveri a casa forse c’erano o forse erano una scusa,di fatto la sua fu un’adolescenza senza sotterfugi,senza nuove esperienze nè i soliti contrasti. ” Non mi va! Andate voi.Un’altra volta!”: E via che passa il tempo,gli anni,gli amici. Oddio,qualcuno resta,si attarda ad insistere con la perseveranza di un benefattore ma i più cambiano strada.Anche le amiche hanno le loro storie,i consueti intrallazzi,la smania di conoscere. ” No,non me la sento! Andate voi.” Solita musica. Anche a scuola,avesse potuto non esserci! Invece il suo nome stava,come tutti gli altri,sul registro di classe,giusto a metà. Aveva un bel dire – Speriamo che finisca ! – Durò cinque anni quel martirio e dopo,si era ancora daccapo:studiare,gli esami,la laurea.

Cap. 0: Premessa

Una STORIA è composta di tanti brevi frammenti di eventi, di personaggi autonomi o dipendenti da altri, di spazi fantastici oppure reali, di dimensioni temporali fittizie o verosimili, di diversi punti di vista. Questa storia nasce e si alimenta in un percorso a ritroso, riflesso attraverso tredici ritratti sfumati, impreziositi da una cornice dorata, come lo sono tutti i ricordi, più o meno recenti e appesi con il chiodo profondo delle esperienze vissute sulla parete uniforme di un unico tempo di vita, una galleria di fatti, azioni, personaggi tutti, rigorosamente, al femminile, archetipi prediletti, forse Uno Solo, in quanto Donna, essere misterioso e adattabile, prodotto di un’epoca e della sua cultura, figlia del costume e delle abitudini, modello di comportamento di vita, tassello insostituibile del puzzle scombinato dell’esistenza, forma, figura, sostanza. Sono tredici per caso ma fors’anche per magia, quella che presiede agli eventi inconoscibili, li regola e li conduce, li dipana. Strano numero per dire la Storia che è parte di una Vita, il suo spessore, la sua unica consistenza. Un’esistenza al femminile senza che fosse scelta, eppure segnata, per così dire caratterizzata da molti punti fermi, anche se differenti, segmenti identici di una linea che tende all’infinito, pur non essendo retta ma sbilenca, spezzata, inframezzata da casi particolarissimi e insieme spettro di una generale condizione, proiettata su di un piano ortogonale a dimensioni incognite, mai conclusa, via via tangente a futuri ritratti, pur restando questi i fondamentali, dall’infanzia fino alla maturità, tappe basilari di un’evoluzione in cammino, che scorre in avanti ma passa continuamente per gli stessi punti, li avvolge con un abbraccio materno e toglie loro la polvere, li ridispone in bella mostra nella galleria aperta al pubblico e sotto ognuno di essi incide una didascalia, a fianco del nome e della data di composizione, provvede a dotarli di sistemi di illuminazione e di collocazione spaziale appositi, oltre a moderne ed efficienti apparecchiature di sicurezza. Una di queste è la registrazione a distanza di tutti i visitatori, muniti di regolare biglietto d’ingresso e privi di telecamere o macchine fotografiche che potrebbero alterare i dipinti o provocare irreparabili danni ai colori. Ognuno di essi è un dipinto raro, frutto della stessa mano oltrechè dell’innegabile preziosità del soggetto ritratto, qui presente con l’intero suo mondo, la sua vita, le sue esperienze. Spetterà agli estimatori riconoscerne i tratti affini oppure discordanti, appassionarsi più intensamente alle vicende di alcuni, meno di altri, pur se tutti assieme, a loro modo, risultano unici, invendibili, parte di una collezione privata mai esposta prima, opera d’arte o no, starà al visitatore e alla critica decretarlo. All’Autore spetta il doveroso compito di tutelarne la contraffazione eventuale.